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Il trapianto di fegato rappresenta ad oggi l’unico trattamento curativo per pazienti con malattia epatica in stadio avanzato. Il primo trapianto di fegato al mondo da donatore cadavere risale al 1963, negli USA ad opera di T. Starzl, mentre in Italia il primo fu eseguito dal Prof. Cortesini nel 1982.
Da allora il progresso e l’innovazione hanno consentito un progressivo miglioramento delle tecniche chirurgiche e l’arrivo dei farmaci immunosoppressori ha contribuito a migliorare l’outcome e la sopravvivenza del post trapianto.
Il nostro centro, da oltre vent’anni, è punto di riferimento sia a livello regionale che nazionale per il trapianto di fegato. La presenza di un team multidisciplinare, formato da chirurghi, epatologi, anestesisti, psicologi, psichiatri, tossicologi, nutrizionisti e numerose altre figure professionali, permette di curare il paziente a 360 gradi, dalla diagnosi al follow-up dopo il trapianto. Tale percorso è definito dal Percorso Diagnostico Terapeutico Aziendale “Gestione delle Patologie Primitive e Secondarie Epatiche Eleggibili a Trapianto di Fegato”, sottoposto a certificazione di qualità ISO 9001:2015, all’interno del quale è definito un core-team chirurgico-epatologico-radiologico-oncologico anch’esso sottoposto a certificazione di qualità delle competenze.
L’iter diagnostico-terapeutico inizia con una visita presso i nostri Ambulatori Divisionali (‘Ambulatorio HCC’) dove, dopo l’iniziale inquadramento clinico e la verifica delle indicazioni, inizia il percorso di screening pre-trapiantologico. È importante sottolineare che, sebbene il trapianto possa essere l’unica chance di guarigione, rimane comunque un intervento di chirurgia addominale maggiore che può presentare complicanze intra e post-operatorie. Per questo motivo è necessario sottoporre il paziente a tutti gli accertamenti necessari per verificare l’idoneità clinica globale al trapianto di fegato. Terminato lo studio pre-trapiantologico, si procede con l’inserimento in lista d’attesa. La lista d’attesa per il trapianto di fegato è caratterizzata da numerose variabili che tengono conto della gravità della malattia, della presenza o meno di epatocarcinoma (entrambi basati su score standardizzati) e dell’anzianità di lista, così da garantire il miglior rapporto tra urgenza, equità e benefit.
Per definizione non si tratta di un intervento in elezione bensì dipende dalla disponibilità d’organo, motivo per cui il paziente in attesa potrà essere convocato in qualunque momento. Quando arriva la segnalazione della disponibilità d’organo compatibile si attiva una rete formata da diverse figure professionali, compresi medici ed infermieri del Centro Trapianti, che cura sia le fasi logistiche che le fasi tecniche al fine di portare a termine il trapianto nel minor tempo possibile.
Una volta terminato l’intervento chirurgico, si trascorre solitamente un tempo variabile da caso a caso in terapia intensiva per garantire uno stretto monitoraggio dei parametri vitali, per poi rientrare in reparto dove proseguirà la degenza fino alla dimissione. Il ricovero dura mediamente 7-10 giorni, ma le variabili che subentrano sono diverse ed estremamente soggettive, l’obiettivo rimane comunque quello di permettere al paziente una rapida ripresa nelle condizioni di miglior sicurezza possibile.
Il momento della dimissione è forse il momento con impatto psicologico maggiore, la possibilità di tornare alla propria quotidianità. In genere, il recupero completo si ottiene dopo 3-6 mesi dall’intervento chirurgico. Durante il primo anno è necessario prestare particolare attenzione alla terapia medica, costituita da diversi farmaci, più importante tra tutti la terapia immunosoppressiva.
Nei primi mesi il paziente viene tenuto sotto stretto monitoraggio mediante controlli ambulatoriali frequenti che vanno via via diradandosi nel tempo, man mano che ci si allontana dall’intervento chirurgico.
Il trapianto di fegato da donatore vivente (LDLT) si inserisce nella realtà italiana come opzione terapeutica “sussidiaria” o complementare nel contesto delle attività di incremento della risorsa di donazione. Non rappresenta infatti una attività trapiantologica parallela o alternativa a quella eseguita mediante donazione da cadavere, per cui sono considerati per LDLT solo pazienti già in lista per trapianto da donatore cadavere.
I criteri di selezione dei riceventi per LDLT dovrebbero risultare da una valutazione ponderata tra:
Il trapianto di fegato da donatore vivente è quindi una procedura sicura che ha il vantaggio primario di ridurre i tempi di attesa e decessi, consente infatti una corretta programmazione dei tempi e dei modi dell’intervento chirurgico. Il ricorso al trapianto di fegato da donatore vivente permette di trapiantare il paziente quando questi ha bisogno del nuovo organo, senza dover attendere in lista di attesa e quindi senza il rischio che le sue condizioni si aggravino rendendo il trapianto più rischioso e con più alta possibilità di complicanze. Da quanto emerge da uno studio pubblicato su Journal of Hepatology, che suggerisce di aumentare il ricorso a questa tipologia di operazione, ad oggi il 15% delle persone che aspettano un nuovo organo va incontro a dropout/decesso.
Si tratta di una procedura chirurgica in cui, un individuo sano, solitamente un familiare consanguineo o non consanguineo, dona una parte del proprio fegato ad un proprio caro portatore di una malattia cronica di fegato. Questo è possibile grazie alla capacità del fegato di rigenerarsi una volta che ne venga asportata una porzione (nel caso del donatore) e di ricrescere fino a raggiungere dimensioni normali una volta trapiantato (nel ricevente); già dopo 3-4 settimane dall’intervento chirurgico, ritorna alle dimensioni originarie pre-trapianto sia nel donatore che nel ricevente. Questo è inoltre possibile grazie al fatto che ciascuno dei due lobi epatici ha una propria vascolarizzazione arteriosa e venosa e drena la bile attraverso due dotti principali, destro e sinistro, che si uniscono solo nel loro ultimo tratto al di fuori del fegato.
Per salvaguardare la salute di chi dona e ridurre al minimo qualsiasi rischio sono stati sviluppati rigidi criteri di selezione del donatore. Per questo motivo, il donatore viene sottoposto ad indagini molto approfondite per valutare se il suo stato di salute fisica e psichica sia tale da consentirgli di donare parte del suo fegato. La fase di valutazione include: esami del sangue, strumentali e visite specialistiche volti ad escludere eventuali controindicazioni alla procedura (anomalie anatomiche del fegato, alterazioni della funzionalità epatica, altre patologie), valutazione psicologica, articolata in più sedute e colloqui; valutazione di un team multidisciplinare composta da tutti gli specialisti coinvolti nella cura. La riunione di una Commissione Parte Terza, indipendente rispetto agli specialisti coinvolti nella cura del ricevente, volta ad esaminare tutta la documentazione clinica e l’ottenimento di una specifica autorizzazione da parte del Presidente del tribunale.
Per quanto concerne la fase chirurgica e post-operatoria, due équipe eseguono contemporaneamente gli interventi, la cui durata è di circa 5 ore per il donatore e di 6-7 ore per il ricevente. Poiché l’intervento sul ricevente e sul donatore avvengono nello stesso momento, i tempi di ischemia dell’organo sono ridotti al minimo, differentemente da quanto avviene nel caso di un trapianto eseguito con un organo prelevato da donatore deceduto. Al termine della procedura sia donatore che ricevente vengono trasferiti in terapia intensiva; il donatore trascorre indicativamente solo la prima notte dopo l’intervento in Terapia Intensiva. La degenza ospedaliera post-operatoria del donatore in genere ha una durata di circa 3-4 giorni, salvo complicazioni, e dovrà essere seguita da una convalescenza a domicilio della durata di circa 4-6 settimane. Solitamente l’operazione non richiede la trasfusione di sangue. Secondo le statistiche mondiali, il rischio di mortalità per il donatore è stimato fra lo 0,5 e l’1 %.
Il Centro di Chirurgia Oncologica, Epato-bilio-pancreatica e dei Trapianti di Fegato del Policlinico di Modena si è quindi spinto in questa direzione fornendo questa valida opzione terapeutica ai pazienti in lista d’attesa. Dalla riapertura del programma, avvenuta a Luglio 2020, ad oggi, sono stati eseguiti 16 trapianti da donatore vivente.
La maggior parte dei pazienti affetti da tumore del colon metastatico si presenta alla nostra attenzione con uno stadio di malattia non suscettibile di trattamenti chirurgici da associare alle linee di chemioterapia attualmente disponibili. Questo limite condiziona una scarsa prognosi della malattia, anche in pazienti che dimostrano una buona risposta alla chemioterapia. Molto spesso le localizzazioni metastatiche sono solo epatiche, con quadri di lesioni multifocali e bilobari, che ci hanno spinto negli anni ad attuare una serie di misure tecniche al fine di offrire un trattamento chirurgico radicale per la maggior parte di questi pazienti. Infatti, selezionando casi candidabili a chirurgia avanzata, possiamo applicare tecniche di resezione in due tempi, come la two-stage hepatectomy o l’ALPPS (resezione in due tempi ravvicinati nello stesso ricovero), che ci consentono di ottenere comunque una completa asportazione del tumore e avvicinare i risultati di cura di questi pazienti il più possibile a quelli che sono i risultati che si ottengono attualmente dopo resezione di una singola lesione epatica o di limitate localizzazioni epatiche.
Negli ultimi anni diversi centri nel mondo hanno iniziato ad offrire il trapianto di fegato come opzione chirurgica in pazienti affetti da metastasi epatiche, non resecabili, da tumore del colon-retto. Pur senza criteri di selezione, le prime evidenze hanno dimostrato un grosso vantaggio per questi pazienti, paragonando il loro outcome a quello di pazienti che hanno ricevuto tutti i trattamenti possibili alternativi al trapianto. Questi straordinari risultati hanno spinto la comunità scientifica internazionale e i centri più avanzati di chirurgia oncologica epatica ad attuare dei protocolli prospettici di selezione e trapianto di fegato in pazienti affetti da questa patologia.
Complessivamente i dati riportati in letteratura dimostrano come il trapianto di fegato sia una strategia curativa fattibile, sicura ed efficace nei pazienti affetti da metastasi epatiche da adenocarcinoma del colon non suscettibili di resezione chirurgica radicale con determinate caratteristiche, e diversi studi sono attualmente attivi ed in fase di reclutamento per studiarne i risultati sia con donatori convenzionali, che con donatori viventi.
Il Centro di Chirurgia Oncologica, Epato-bilio-pancreatica e dei Trapianti di Fegato del Policlinico di Modena si è quindi spinto in questa direzione e ha sottoposto e ottenuto l’autorizzazione dal Comitato Etico per l’attuazione di due protocolli prospettici, LIVERMORE e COLT, al fine di selezionare pazienti affetti da metastasi epatiche da tumore del colon-retto e considerarne l’opportunità di includerli in tali trial ed offrire loro la chance del Trapianto di Fegato.
Il protocollo LIVEREMORE, disegnato dalla nostra Unità Operativa, offre la chance di effettuare il Trapianto di fegato da donatore vivente in paziente con metastasi epatiche da tumore del colon con specifiche caratteristiche. Prevede la possibilità di includere pazienti affetti da metastasi epatiche non resecabili da tumore del colon, in assenza di progressione neoplastica, previa asportazione del tumore primitivo (con stadio non superiore a T3N1R0 e componente mucinosa <50%), BRAF wild type e con CEA stabile o in riduzione. ClinicalTrials.gov Identifier: NCT05175092
Il protocollo COLT è un protocollo italiano, tra i più recenti di quelli attualmente in corso nel mondo, disegnato in collaborazione con l’Istituto Tumori di Milano (Prof. Vincenzo Mazzaferro, promotore del trial) e prevede la possibilità di includere pazienti affetti da metastasi epatiche da tumore del colon, in assenza di una evidente progressione neoplastica, previa asportazione del tumore primitivo (con stadio non superiore a T3N1), kRAS e BRAF wild type e con CEA < 50 ng/ml dopo chemioterapia.
ClinicalTrials.gov Identifier: NCT03803436
Il colangiocarcinoma è la seconda neoplasia primitiva epatica per frequenza dopo l’epatocarcinoma. Origina dai dotti biliari intraepatici ed extraepatici ed in particolare, il 50-60% è a sviluppo peri-ilare (tumore di Klatskin), il 20-30% sono tumori a sviluppo distale, ovvero che originano nel tratto di coledoco che decorre posteriormente al duodeno, mentre il restante 10% è a sviluppo intraepatico. Indipendentemente dalla localizzazione, questo tipo di tumore ha un’evoluzione rapidamente progressiva con una mediana di sopravvivenza inferiore ai 24 mesi alla diagnosi.
Si tratta di una malattia poco responsiva alla chemioterapia e ad oggi la chirurgia rappresenta l’unico trattamento potenzialmente curativo. Tuttavia, meno della metà dei pazienti alla diagnosi è candidabile all’intervento resettivo a causa della presenza di una malattia localmente avanzata o già metastatica per via della scarsità di segni e sintomi precoci che non permettono di diagnosticare il tumore in stadi iniziali.
Gli approcci chirurgici sono diversi a seconda della localizzazione e possono prevedere resezioni epatiche minori/maggiori, resezione en-block della via biliare se coinvolta dalla neoplasia oppure duodenocefalopancreasectomie. Inoltre, sono disponibili protocolli estremamente selettivi per il trattamento dei tumori a sviluppo peri-ilare mediante trapianto di fegato. Si tratta di interventi di chirurgia maggiore che devono essere eseguiti in centri ad alto volume, sia per la necessità di affidarsi alle competenze di chirurghi esperti sia per l’importanza che riveste la gestione peri e post-operatoria del paziente. Il reparto di Chirurgia Oncologica, Epatobiliopancreatica e dei trapianti di fegato dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena – Policlinico rappresenta un centro di riferimento per lo studio ed il trattamento di queste neoplasie.
Il cancro colorettale è la terza neoplasia al mondo per incidenza e metà dei pazienti che ne risultano affetti sviluppano metastasi epatiche. L’asportazione chirurgica rappresenta l’unica opzione terapeutica con valore curativo ottenendo risultati di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi superiori al 50%.
La chemioterapia neoadiuvante è nella maggior parte dei casi fondamentale per garantire insieme alla chirurgia i migliori risultati.
L’approccio chirurgico è rappresentato da un ampio ventaglio di possibilità che va dalle resezioni mini-invasive laparoscopiche o robotiche alla chirurgia in due tempi passando attraverso tecniche atte ad ottenere adeguate condizioni di sicurezza per la resezione stessa. Il principale limite della chirurgia nella malattia coinvolgente entrambi i lobi epatici è infatti rappresentato dall’adeguatezza del ”future liver remnant” ovvero la porzione di parenchima epatico rimanente al termine della resezione che deve essere sufficiente in termini funzionali alle esigenze metaboliche del paziente.
Circa il 75% dei pazienti affetti da metastasi epatiche da cancro colo-rettale non risulta passibile di approccio chirurgico per via delle suddette questioni.
Nell’ultimo decennio la chirurgia epatica è stata rivoluzionata da approcci innovativi che permettono di rendere resecabili quadri clinici precedentemente non considerabili per chirurgia.
Vengono oggi offerte, accanto alle strategie chirurgiche resettive tradizionali per i pazienti affetti da patologie resecabili alla diagnosi, strategie di induzione dell’ipertrofia di una porzione di fegato sano con l’obiettivo di poter trattare pazienti con grande carico di malattia bi-lobare. Le tecniche più utilizzate comprendono l’epatectomia in due tempi (Two stage hepatectomy) durante le quali si procede a occlusione della vascolarizzazione portale della porzione di fegato colpito dalla malattia divergendo così il flusso sulla porzione che dovrà rimanere dopo l’intervento chirurgico così da indurne la crescita. Spesso questa prima fase del trattamento può essere condotta completamente per via percutanea radiologica instillando agenti embolizzanti nella vena porta. Accanto a questa procedura, per migliorare la velocità di crescita del fegato sano, si può associare anche l’occlusione delle vene sovraepatiche che drenano la porzione affetta dalle metastasi. Questa tecnica prende il nome di deprivazione venosa epatica (liver venous deprivation). Una volta ottenuto un adeguato volume di fegato residuo si procede alla seconda fase del trattamento procedendo alla resezione del fegato affetto.
Un’ulteriore e innovativa tecnica per massimizzare l’entità e la velocità della crescita del fegato residuo è rappresentato dall’ALPPS (Associating Liver Partition and Portal vein ligation for Staged hepatectomy) nella quale si eseguono due procedure chirurgiche consecutive dove al primo tempo si associa l’occlusione portale alla partizione epatica rendendo così il fegato residuo indipendente da quello affetto dalle lesioni. Una volta ottenuta l’adeguata ipertrofia che generalmente avviene tra i 7 e i 15 giorni dopo la procedura si esegue il completamento della resezione. Tutte le tecniche sopracitate possono essere eseguite con tecniche mini-invasive che prevedono piccoli accessi chirurgici di 8-12 mm attraverso i quali vengono introdotti telecamera e strumenti chirurgici. In particolare negli approcci robotici gli strumenti sono governati dal chirurgo attraverso la consolle ottenendo grandi benefici per via della magnificazione dell’immagine, della filtrazione dei tremori fisiologici, della visione in 3D e dell’estrema versatilità degli strumenti stessi.
Una malattia che fino a un decennio fa era considerata non passibile di interventi curativi è oggi uno scenario in cui gli approcci multidisciplinari e le tecniche chirurgiche avanzate possono cambiare radicalmente la storia del paziente. La collaborazione tra i professionisti che condividono le loro competenze permette di generare approcci personalizzati per ciascun paziente in modo da minimizzare le conseguenze dei trattamenti ottenendo il miglior risultato possibile. Presso l’Unità Operativa di Chirurgia Oncologica Epatobiliopancreatica e dei Trapianti di Fegato dell’AOU di Modena siamo in grado di offrire tutta la vasta gamma di trattamenti attestandoci come centro di riferimento per questa patologia.
L’epatocarcinoma (HCC) è la più frequente neoplasia primitiva maligna del fegato e rappresenta una delle principali cause di morte tumore-correlata nel mondo.
Insorge più frequentemente in pazienti affetti da cirrosi epatica, la quale a sua volta può avere molteplici cause (infezioni virali, abuso di alcol, sindromi metaboliche, patologie autoimmuni). Perciò, risulta fondamentale la sorveglianza nei pazienti affetti da cirrosi per la diagnosi precoce di epatocarcinoma, tramite l’utilizzo di esami radiologici quali l’ecografia, la TC e, in casi più selezionati, la Risonanza Magnetica e la biopsia. Infatti, l’epatocarcinoma risulta assolutamente asintomatico fino a stadi molto avanzati.
Le possibilità di trattamento dell’epatocarcinoma sono molteplici e dipendono dallo stadio di malattia e dalle condizioni cliniche del paziente. Il trattamento chirurgico è quello che offre, dopo il trapianto di fegato, i migliori vantaggi in termini di sopravvivenza a lungo termine e può consistere in resezioni minori o maggiori, eseguite anche con tecnica mininvasiva, fino al trapianto di fegato. In particolare, l’approccio mini-invasivo robotico rappresenta un importante strumento nella cura di questa patologia. Infatti, grazie ad un ridotto impatto sulla parete muscolare, ad una delicata manipolazione dei tessuti e ad una accurata dissezione, permette di ridurre le complicanze post-operatorie, contribuendo inoltre ad ampliare l’accessibilità alla resezione anche ai pazienti con minore compenso epatocellulare, con eccellenti risultati oncologici a lungo termine.
Attualmente il trapianto di fegato rappresenta infatti il miglior trattamento con potenzialità curative per l’epatocarcinoma in pazienti che non possono essere sottoposti a resezione epatica e, contemporaneamente, rappresenta l’unico trattamento per la sua condizione predisponente, ovvero la cirrosi. Classicamente la selezione dei pazienti candidabili a trapianto di fegato per epatocarcinoma avviene mediante l’applicazione dei criteri di Milano, che si basano sul numero e la dimensione dei noduli di epatocarcinoma. Inoltre, per coloro che presentano una diagnosi iniziale che ecceda i criteri di Milano, è possibile ricorrere a metodiche di downstaging, cioè a trattamenti (resezione chirurgica, chemioembolizzazione, terapie ablative) che possono ridurre il carico di malattia neoplastica e rendere il paziente nuovamente candidabile a trapianto con elevate probabilità di sopravvivenza, come dimostrato da numerosi studi nella letteratura scientifica. L’approccio moderno al trapianto di fegato per epatocarcinoma prevede inoltre la combinazione di criteri morfologici e biologici, ovvero la valutazione della risposta ai trattamenti locoregionali, il monitoraggio dei livelli di oncomarkers come l’alfafetoproteina, fino ai criteri di metabolomica e radiomica, per garantire ai pazienti l’accesso al trattamento più adatto.
Il trattamento dell’epatocarcinoma e la gestione dei pazienti affetti da tale neoplasia richiedono gradi elevati di esperienza e competenza medico-chirurgica. Il reparto di Chirurgia Oncologica, Epatobiliopancreatica e dei Trapianti di Fegato dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena – Policlinico rappresenta un centro di riferimento per lo studio ed il trattamento di questa neoplasia. Si tratta, infatti, di un centro ad alto volume, che offre diverse strategie di trattamento, compreso il trapianto di fegato da donatore vivente.
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